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I conflentesi sono stati grandi produttori di vino, ma anche grandi consumatori. Erano in tanti che possedevano un vigneto e, secondo le dimensioni, producevano piccole o grandi quantità di vino che esportavano o utilizzavano per il consumo casalingo.

Un bicchiere di buon vino accompagnava tutti i pasti ed era abitudine costante di offrire ad ogni ospite del vino fatto in casa. Soprattutto rosso. 

Ogni tristezza o ogni gioia veniva affogata nel vino e spesso si prendevano delle sonore piche che duravano per giorni. Matrimoni, battesimi ecc.  venivano celebrati con abbondanti libagioni.

 C’era un’espressione che circolava nel paese Si…me mbriacu, voleva dire che se qualcosa si fosse realizzato, la riuscita sarebbe stata celebrata con un’ubriacatura. 

Questa grande sete di vino veniva soddisfatta non solo nelle case, ma anche nelle cantine.

Le cantine, o putighe ‘e vinu, erano dei piccoli locali, disseminati in tutto il paese, dove si poteva bere vino locale, preso direttamente dalla botte. Si trovavano quasi sempre in magazzini a pian terreno, senza finestre e quindi scuri. 

Ce n’erano tante. A Conflenti Inferiore, in periodi diversi, c’erano quelle di Peppe a Marca; Giuanni a Marca, Michele e Sassina, Stella, Peppe Audinu. Anselmo Calabria, Pasquale u Nivaru , Mariu e Girunnu

A Conflenti Superiore Nicola e Cicciu a Polina, Maria e Costantino, Russo, Maurilio. Esse erano frequentate esclusivamente dagli uomini del popolino. Ci si andava di pomeriggio o di sera. In alcune si giocava a carte. Si beveva e si parlava. Qualche volta la discussione diventava accesa e scoppiava una lite. Qualche volta c’è scappato il morto.

Perché tante cantine? Un motivo valido è che il vino era davvero buono, rinomato in tutto il circondario e inoltre una volta il paese era molto abitato, dai quattro ai cinquemila abitanti; la gente lavorava duro nei campi e, al ritorno, amava scambiare qualche chiacchiera con gli amici e riposarsi un po’.

Poi, clienti abituali erano gli abitanti delle campagne. C’era un tempo in cui per ogni incombenza i campagnoli dovevano venire in centro paese. Matrimoni, battesimi, funerali si svolgevano nel centro storico. E venivano anche per sbrigare pratiche amministrative, per fare la spesa (non c’erano negozi nelle frazioni).  

All’epoca mancavano le strade e, sia all’andata che al ritorno, bisognava fare diversi chilometri a piedi. Quindi molti, per ritemprarsi, facevano una sosta nelle cantine prima di affrontare il ritorno. Non è un caso quindi che esse erano spesso poste strategicamente in prossimità delle vie di uscita dal paese.

Curioso ma vero: le donne non entravano mai nelle cantine e quando qualche volta venivano a riprendere i mariti, che tardavano a rientrare, si fermavano sulla soglia. Capitava però che alcuni di questi locali fossero gestiti da donne. Uno di questi era quello di Maria ‘e Costantino che si avvicendava con la figlia Sina. Quello di Nicola e Polina fu gestito per lungo tempo dalla suocera Tiresina. E, negli anni Sessanta, era ancora una donna a gestire quello in prossimità della stradella.

La produzione agricola più rilevante a Conflenti è stata per lungo tempo quella del vino.
A Conflenti i vigneti erano tanti e sparsi in tutte le zone del paese: da Muraglie alle Pastine, dall’Ardano a Savizzano, da Gallitelli a Cirignano e tanti altri ancora.  Tutti i terreni erano sfruttati, anche quelli più scoscesi che richiedevano opere di terrazzamento abbastanza complesse.

In tanti erano proprietari di vigneti, piccoli o grandi e ci si lavorava tutto l’anno. Un lavoro duro che richiedeva impegno, sacrificio e abilità. Tra i proprietari possiamo ricordare Giuanni e Giuliu,i Conami, Ernestu Paula, Nicolinu Folinu, Piatru Rasu, Micuadinu, Grigoriu Roperti, i Montoru, i Stranci, Ginu Villella,  i Calabria,  u farmacista Pantanu.

La vendemmia era una gran festa, durava una quindicina di giorni e coinvolgeva tutto il paese, che viveva l’evento con agitazione e trepidazione. Di tutti gli odori che caratterizzavano quel periodo autunnale quello del vino e dell’uva era il più intenso.
Il vino era, quasi esclusivamente rosso, era molto buono e se ne produceva una gran quantità. Qualcuno lo utilizzava per uso proprio e altri lo commercializzavano. Nel paese se ne faceva tantissimo uso, c’erano cinque o sei cantine e tutte molto frequentate: Maria e Costantinu, Nicola e Polina, Giuanni e Peppe a Marca, Carru Audinu e Michele e sassinu. Ma, seppure indirettamente, questa produzione era il motivo di esistere anche per cestai e barilai che fornivano tutto il materiale necessario per la raccolta, il trasporto e la conservazione.
La quantità che si produceva era notevole, oltre ventimila quintali e per commercializzarla nel paese sorsero importanti attività, quelle per es. di Peppe e vricita, Lelle a magara, Ernestu Baratta, Micu Espositu, Battista Folinu e Ninni Roperti.

Ecco la testimonianza di uno degli ultimi commercianti, Sistinu purzianu che purtroppo da poco è venuto a mancare all’affetto dei suoi cari.
“I miei ricordi vanno dal 1944 in poi, da quando avevo dieci anni. Il commercio del vino si esercitava già da tempo, anche durante la guerra. I commercianti erano tanti e inizialmente lavoravano tutti assieme, ognuno con un compito, papà si limitava a fornire il capitale e a fare la contabilità. Non viaggiava, gli altri acquistavano e vendevano. Inizialmente il trasporto veniva fatto con carri e muli. Poi comprammo un camion, il primo autista è stato Bruno Gimigliano l’unico ad avere la patente necessaria. Subito dopo la guerra Peppe e vricita si staccò da noi, comprò un camioncino chiamato Visconteo e cominciò, aiutato dal figlio, a commerciare nei paesi più lontani.

Noi, il primo camion serio, un fiat 126, lo comprammo dopo la guerra a Roma con l’aiuto di Eugenio Isabella di San Mazzeo, allora direttore del Policlinico a Roma, in seguito comprammo un fiat 509, un fiat 626 e tanti altri per finire poi ad un Alfa Romeo 750.
Sino agli anni ‘50 la produzione era tutta locale, i produttori più importanti erano i Pontano, i Montoro, gli Stranges e Don Paolino Villella.
Tra gli operai che abbiamo avuto ricordo Giuanni e juriddru, Michele u paganu, Garibaldi e Jacupinu che in seguito andò a lavorare con Ernesto Baratta.  Andavamo dappertutto, in tutti i paesi del circondario e della provincia fino a Sellia e Sersale, facevamo pure il commercio delle castagne pelate. Negli anni Sessanta ho cominciato a viaggiare pure verso il Nord, arrivavo fino a Torino, dove poi, un altro conflentese, Rolando Aiello, mi aiutava nello smercio. Ho lavorato finche’ ho potuto, finche’ me lo ha permesso l’età, ma la produzione locale alla fine era nulla e smerciavo vino fatto con uva di altre regioni”.

 

                            Dal blog di A. Coltellaro “Dialetto conflentese”.