L’emigrazione si configurò come unica risposta a questa situazione di crisi, di vera e propria emergenza sociale. Le rimesse in valuta consentirono a coloro che erano rimasti nei luoghi d’origine condizioni di vita più umane, un miglioramento nel vitto e nelle abitazioni, una riduzione dell’analfabetismo, l’introduzione e l’utilizzo di macchine agricole, e soprattutto si cominciò a comprendere che era possibile cambiare quella situazione.
Nata dalla rassegnazione, l’emigrazione pian piano riuscì a vincere la rassegnazione. Essa è stata l’occasione storica che ha dato alle nostre genti l’unica possibilità non violenta di emanciparsi dalla miseria materiale e culturale.
Il fascismo e la successiva chiusura fecero ripiombare la popolazione delle frazioni montane nella condizione di sovraffollamento e isolamento precedente, anche se finalmente vennero aperte scuole, e questo negli anni successivi si rivelò importantissimo.
Col secondo dopoguerra, finalmente qualcosa cambiò. La ripresa dell’emigrazione diede di nuovo sfogo alla crescita della popolazione, anche se il fatto che non più singoli abitanti, ma intere famiglie, si trasferissero all’estero produsse effetti deleteri. Si ebbe lo spopolamento di alcune intere frazioni, come Vallone Cupo superiore, con il conseguente abbandono di case e terreni coltivati con gravi danni per l’economia. Ad esempio, scomparve quasi completamente la raccolta, la lavorazione e vendita delle castagne, che precedentemente costituiva una delle principali fonti di reddito.
Contemporaneamente, però, questo esodo produsse nella popolazione rimasta una definitiva presa di coscienza della difficile situazione in cui si viveva ed un impegno sempre crescente della volontà di modificarla.
Ci fu inizialmente un tentativo di occupazione delle terre sulle falde del Reventino, a seguito della riforma Gullo, che però andò a vuoto e si concluse con la denuncia e il successivo arresto di tutti gli organizzatori.
Il processo di affrancamento da quella situazione era però diventato irreversibile e gli abitanti della montagna con il loro duro lavoro iniziarono a creare un minimo di collegamenti tra le diverse contrade e soprattutto si aprirono, a forza di piccone e badile, un varco verso la piana di Lamezia con la ormai famosa “strada della solidarietà”, rompendo l’antico isolamento.
Altrettanto importante in questo contesto fu la grande opera di riqualificazione della montagna, che rappresentò un altro decisivo passo verso il cambiamento.