Tag Archivio per: Reventino

Conflenti, con una superficie di 29,70 kmq, è uno dei comuni più vasti dell’entroterra  lametino. Il suo territorio si estende dalla zona del Savuto sino al di là del Mancuso, verso il mare, e partendo dal torrente Mentaro in località Cirignano, sale fino alla vetta del Reventino.

 
Il centro storico è adagiato su una collinetta ai piedi del Reventino a circa 500 mt sul livello del mare, mentre le contrade rurali sono disseminate su quasi tutta la sua superfice comunale.

Lo spostamento di parte dei suoi abitanti verso tante frazioni rurali, cosi frastagliate e variegate, si è prodotto nel corso dei secoli scorsi per la dispersione della sua popolazione, originariamente stanziata nel solo versante del Savuto, essenzialmente per due ordini di motivi.

Inizialmente, a partire dalla fine del ‘500 la popolazione si è allontanata dal centro abitato, per sfuggire alle vessazioni baronali e ad una imposizione fiscale estremamente gravosa e oppressiva, mentre nei secoli successivi è stato soprattutto l’aumento della popolazione a spingere interi nuclei familiari a spostarsi verso terre limitrofe alla ricerca di nuove terre da coltivare.

A questo proposito, non è un caso che, spesso il nome di alcune contrade coincida con quello dei nuclei familiari che le hanno fondate (Stranges, Paoli, Mercuri, etc)

In realtà fino all’immediato dopoguerra il territorio era ancora più vasto e si estendeva anche sul versante opposto della montagna, poi quella parte che comprendeva anche le contrade di Petra e Sambate, passò per evidenti motivi di opportunità e vicinanza al comune di Platania che era stato costituito da poco.

Attualmente il Comune è costituito da una serie di frazioni sparpagliate sul suo territorio, che si incastonano tutte nella facciata nord-ovest del Reventino e nelle vallati sottostanti in uno scenario paesaggistico molto suggestivo.

Seppur partendo da quote molto basse nel Savuto a circa 200 metri (Cirignano e Muraglie) la maggior parte di esse si concentra nella parte alta della montagna, ad una altezza di circa mille metri, arrivando ad affacciarsi sul golfo di Lamezia, (Serra d’Urso, Termini, Guglia, Lisca, Annetta, Passo Ceraso, Costa, Stranges, Abbritti, Calusci, Sciosci, Vallone cupo, Caria, ecc).

Il clima, di conseguenza, mite nella parte bassa diventa più rigido man mano che ci si sposta nelle zone più alte.

                                

In epoca remota tutta l’area del vasto comprensorio collinare e montano del Reventino era ricoperta da un fittissimo manto forestale che faceva parte di quella selva ininterrotta che gli storici antichi chiamavano Sylva Bruttia.
Il bosco era ricoperto da querce roverelle, farneti, cerri, ontani e castagni, mentre nella parte alta vegetavano faggi e pini.

L’intera zona è sempre stata molto ricca di acqua “Le acque sono limpide ed assai salutari, come quelle, che dall’alta pendice de’ monti sgorgando, e tra i vivi sassi rotte ed infrante, scorrono graziose in varii bellissimi ruscelli, che poi nel divisato fiume raccolte vanno umili e chete a scaricarsi nel mar Tirreno “ (Montoro- Sacre Memorie).
Difficile stabilire quando l’uomo abbia fatto la sua comparsa in questa area, di certo i primi abitanti “storici” furono transfughi di qualche tribù dei Brezii, antichi abitanti della Sila, a loro volta provenienti dai Balcani (Epiro, Tracia, Anatolia).
Un piccolo villaggio bruzio era certamente in località Costa, ben mimetizzato sul versante occidentale del Reventino, anche se gli abitanti, erano per lo più pastori itineranti.

Molto probabilmente in questa zona si rifugiarono i cittadini di Temesa dopo che la città fu distrutta da Annibale per impedire ai Romani di stabilirvisi o ancora vi giunsero schiavi ribelli dopo la sconfitta di Spartacus, (II sec a.C).

Nel periodo romano questa altura, insieme al vicino Mancuso, fu chiamata “Monte della pece”, perché i folti boschi di conifere fornivano la resina da cui si traeva, con sapiente lavorazione, la preziosa sostanza indispensabile per il calafataggio delle navi che venivano costruite negli arsenali costieri con il legno delle stesse selve. Dai “monti della pece” arrivavano pure le travi utilizzate per costruire le basiliche romane.
È in questo periodo che iniziò ad essere utilizzato il famigerato passo della “cona di San Mazzeo” che, tagliando per la montagna, permetteva di giungere più velocemente dalla via Popilia-Annia alla piana di Sant’Eufemia.
Il tratto della importante via romana scavalcava i monti, dalla stazione “Ad Fluvium Sabatum” (la valle del Savuto), a nord, fino a quella “Ad Turres” (contrada Palazzo nella Piana), a sud.

Da qui la grande importanza storica della Conca di San Mazzeo e di questo passo, pericoloso incrocio di vie tra mari e monti, passaggio di uomini e merci, dove si sono consumati misfatti e leggende.  

Di certo il passo era un luogo che per essere attraversato imponeva il pagamento di “gabelle”, da qui forse il nome di San Mazzeo (da San Matteo il protettore degli esattori) e sicuramente quello della vicina località di Gabella.
Da alcuni documenti storici risulta che ancora intorno all’anno mille, a ulteriore riprova che il posto era conosciuto e trafficato, il valico della Cona di San Mazzeo continuava ad essere un punto di passaggio strategico e Roberto d’Altavilla detto Guiscardo, condottiero normanno, nel 1059, vi sostò per qualche tempo con il suo esercito (I Normanni in finibus Calabriae di Francesco Scuteri).
Sostanzialmente, comunque, fino alla fine del 1400, gli insediamenti sulla parte alta della montagna non furono mai stabili e le popolazioni che man mano vi si erano rifugiate nei momenti di difficoltà, col tempo poi, erano scese a valle.

 La montagna era frequentata per lo più da pastori itineranti e da qualche fuorilegge costretto a nascondersi, e le varie vicende storiche della Calabria, con tutte le dominazioni che man mano vi si erano succedute, poco la avevano riguardata.
Come si può desumere dallo studio delle preziose Platee contenenti i fondi rustici della Mensa Vescovile, i terreni lavorati sulle alture erano quelli di Casara, Guglia, Piano del Jane, Passo del Ceraso, Savocina.
La popolazione lavorava quei fondi ma poi in genere tornava in paese, dove le condizioni per vivere erano migliori.

A caratterizzare il paesaggio conflentese è soprattutto il rilievo del Monte Reventino, con tutto il suo versante nord occidentale, che ricade nel territorio comunale e sovrasta dall’alto l’antico borgo.

Tutto il comprensorio, sotto il profilo geologico, fa parte del massiccio della Sila e, più in generale del cosiddetto blocco granitico-cristallino del centro-sud della Calabria.

Del gruppo montuoso del Reventino si è occupato molto, negli anni ‘70, Walter Alvarez uno studioso statunitense dell’università di Berkeley in California, che ha osservato che per caratteristiche geomorfologiche le rocce che affiorano da questo monte sono del tutto simili a quelle rinvenute in Sardegna, Corsica e sulla catena alpina.

Da qui la suggestiva tesi che la Calabria rappresenti un frammento della catena alpina successivamente incorporatosi nell’edificio appenninico

Per lo studioso americano e una serie di suoi seguaci italiani, tutta la chiave della storia geologica della Calabria e dei suoi movimenti tellurici è racchiusa proprio nelle rocce del Reventino e nei suoi “scisti verdi” che rappresenterebbero i relitti dell’antico oceano di Tetide dalla cui chiusura si sono originate le Alpi e l’Appennino.

E in effetti la magnifica montagna conflentese, a osservarla bene, lascia ancora intravedere le sue antiche origini. 

Sui suoi versanti si possono ancora individuare dei grandi terrazzamenti, in origine marini, prodottisi allorché buona parte del territorio era sommerso dal mare grazie all’azione del moto ondoso che spianava le asperità delle rocce e, colmando le asperità, livellava il terreno. Da questi meravigliosi pianali è possibile godere di incantevoli visuali verso il mare.

E si può osservare la meravigliosa conca di San Mazzeo, depressione vagamente circolare, circondata da rilievi, che pare richiamare antichi bacini lacustri del Quaternario, poi svuotatisi.

Altri fenomeni geomorfologici molto tipici e caratteristici della grande montagna sono quelli delle grandi rupi che d’improvviso si innalzano sui suoi costoni e delle fenditure sottostanti, spesso sommerse dalla forza dei boschi.

È il caso della Pietra del Corvo dalla cui sommità si gode di una veduta assolutamente incomparabile e della “grotta delle fate”, di cui la memoria collettiva serba un grande ricordo e tramanda fatti leggendari.

La particolare conformazione orografica del territorio comunale, con le sue differenze altimetriche e di conseguenza di clima, permette di avere una grande ricchezza dal punto di vista naturalistico e paesaggistico.

   

Liberamente tratto da “ Naturalmente bello” di Francesco Bevilacqua