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Da secoli molte tradizioni legate alle festività religiose dettano i ritmi della vita conflentese.
L’Immacolata, festa che apre le porte al Natale, è sicuramente una di queste.
Un tempo il rituale che accompagnava questa festa (ancora oggi una delle feste più sentite dalla nostra comunità), era molto più articolato, ma grazie al lavoro di tanti fedeli è stato comunque tramandato nella sua essenza fino ai nostri giorni.

Le celebrazioni cominciavano il primo dicembre con la novena, che nei tempi passati si teneva alle prime luci dell’alba. La novena era vivamente partecipata dai confratelli della Congrega, che, con camice e mozzetta, assisi sugli scranni, animavano la liturgia con i loro canti in latino.

La confraternita inizialmente era composta solo dai benestanti del paese, ma col tempo si allargò a tutti. Intorno agli anni Sessanta Nzermu Calabria era il tenore e Brunu ‘e Piddricchia faceva il controcanto, mentre il coro, tra gli altri, era composto da Ntoni ‘e Cicciu, Giuanni Bricchiu, Durazziu, Larenzu u minutu. Alla tastiera era sempre Ntoni ‘e Scarpiaddru, mentre il coro dell’assemblea era composto da Michilina ‘a Riapulina, Rusina e Ancilina ‘e Piddricchia, Grazia ’a Zucchetta, Donna Gianna ccu ra viletta e tante altre.
Meritano tutti di essere ricordati, oltre che per il loro impegno, anche per i loro bellissimi soprannomi.
Ovviamente, il lavoro preparatorio iniziava molte settimane prima con la raccolta della legna che sarebbe poi servita ad alimentare la grande focara.

Alla raccolta dovevano contribuire tutti, dai ragazzini che armati di carriole facevano il giro delle case a chiedere pezzi di legno, ai più grandi che trovavano nei boschi pezzi di radici o tronchi di alberi caduti, per finire alle imprese boschive che si occupavano del trasporto.
Il momento clou ovviamente era e, rimane ancora oggi, la sera della vigilia.
In quegli anni la festa cominciava con la passeggiata della coppia dei paparagianni, figure grottesche di carta colorata su scheletro di canna, preceduti da Carru ‘e Puddruletta e Filice Sciambarella che suonavano i tommari, tamburo e grancassa battuta con la frusta di castagno, che dovevano sicutare puarci e ricogliare guagliuni, per la fiaccolata.
E di ragazzi ne raccoglievano tanti, ma proprio tanti, che dopo la messa partecipavano alla fiaccolata con i classici scruani mpeciati accesi.
La fiaccolata lungo la via principale, illuminata a giorno da centinaia di scruani, era accompagnata dalla banda musicale.

Al termine della fiaccolata si accendeva la focara e si bruciavano i paparagianni, costati tanti ma tanti giorni di lavoro.
La gente piano piano si radunava intorno al fuoco, dove al suono di zampogne e organetti si mangiava e beveva in abbondanza.
I più arditi ovviamente facevano la rituale capatina ai mandarini dell’orto sottostante.
La focara rimaneva accesa tutta la nottata, alimentata dai ragazzi fino alla mattina successiva, quando gli abitanti della zona offrivano loro caffè e dolci tipici.
Alle dieci, poi, cominciava la messa e la processione. Quindi ognuno a pranzo con la propria famiglia e poi pomeriggio di nuovo all’Immacolata per i giochi popolari: palo della cuccagna, tiro alla fune, pignata e lumia. Intanto la focara, non più alimentata, si spegneva e finiva la festa.

Oggi il rituale è stato per forza di cose accorciato, ma la festa viene ancora organizzata con impegno e dedizione dalla Confraternita, che cerca di conservare e trasmettere la tradizione alle nuove generazioni. Fino a pochi anni fa la Confraternita era retta dall’indimenticabile Priore, Rosario Floro, ormai scomparso, che riteniamo doveroso ricordare, perché era lui che si occupava di tutto: dagli scruani, alla legna, alle patate per finire al vino.Oggi il testimone è passato al nipote Pasquale, vera anima della festa.