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A Conflenti agli inizi del Novecento i mezzi di trasporto erano quasi inesistenti. C’erano  persone che utilizzavano i muli, le giumente, gli asini, ma si trattava certamente di pochi privilegiati; la maggior parte della gente era obbligata a spostarsi a piedi. Si andava lontano o vicino, di notte o di giorno, senza lamentarsi e si camminava per ore. Moltissime donne, a quell’epoca, non portavano scarpe e il cammino, per loro, era naturalmente più faticoso. Quasi tutti i terreni coltivati: orti, castagneti, vigne, frutteti, erano fuori dal  paese e i proprietari vi si recavano più volte al giorno. La legna, le donne andavano a cercarla nei terreni del demanio al Reventino. Almeno due – tre ore di cammino.  Alcuni scolari, in campagna, per raggiungere la scuola dovevano camminare per chilometri. Quando c’era un funerale, gli abitanti delle contrade dovevano sobbarcarsi un viaggio estenuante per accompagnare il morto sino al cimitero di Conflenti. Lo facevano con qualsiasi tempo (se c’era neve trasportavano la bara facendola scivolare su una specie di slitta rudimentale).  E dovevano affrontare lo stesso percorso quando si svolgeva un matrimonio, quando c’era da sbrigare una pratica in municipio, quando occorreva andare dal medic0

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Grispeddrare, cestai, barilai partivano all’alba e facevano un lungo tragitto per andare a vendere i loro prodotti nei paesi vicini: Martirano, San Mango, Motta Santa Lucia, Nicastro. Qualche volta si spingevano sino a Cosenza e Catanzaro. C’erano studenti che quotidianamente andavano e rientravano da Nicastro, passando per Acquavona e scendendo o salendo per Rametta.  Un percorso che richiedeva tre o quattro ore di cammino sia all’andata che al ritorno. Lo stesso facevano i proprietari di negozi andavano a rifornirsi della merce da vendere a Nicastro.
Generalmente questi viaggi si facevano in compagnia e la fatica si sentiva meno. Si conoscevano le scorciatoie e si guadagnava sul tempo di percorrenza.  Però c’era anche chi s’avventurava da solo per lunghi viaggi.
Uno di questi era Luciano Villella.
Di professione faceva il calzolaio ma era abile in moltissimi altri lavori. Era anche un ottimo innestatore e veniva chiamato spesso per prestare la propria opera nei paesi del circondario. Quando doveva recarsi a Cosenza, invece di percorrere i sentieri che attraverso la valle del Savuto, da Motta Santa Lucia e Scigliano, portavano alla città e che abitualmente facevano i nostri compaesani,  preferiva  l’itinerario che partiva da Decollatura e seguire, sino a destinazione, la via ferrata.

Un percorso più lungo e più pericoloso. Bisognava attraversare molte gallerie e c’era la possibilità che il treno arrivasse all’improvviso.  Per Luciano il viaggio era ancora più rischioso perché era sordomuto. Egli però aveva trovato la soluzione che probabilmente gli salvò più volte la vita, facendolo arrivare sempre incolume a destinazione. Portava con sé un bastone che ogni tanto faceva strisciare sui binari e che gli permetteva di percepire l’approssimarsi del treno. Quando ciò succedeva, si fermava e dopo il passaggio della locomotiva, riprendeva il suo viaggio. Concluso il suo lavoro a Cosenza ritornava a Conflenti ripercorrendo la stessa via che aveva fatto all’andata. Naturalmente sempre in compagnia del suo bastone. 

 

Di  A. Coltellaro

La tradizione dei dolci tipici aru casale si perde nel tempo ed è sicuramente legata ad un’altra produzione tipica di Conflenti: quella del miele. 

Nel nostro paese nei tempi passati l’apicoltura era una pratica molto diffusa e miele e cera erano prodotti che toccavano l’eccellenza e impiegavano numerosi addetti, il miele in particolare trovava un suo sbocco naturale nella produzione di cose duci e cannarutie.

Le donne di Conflenti Soprani, dove tradizionalmente si concentrava quasi tutta la produzione, erano autentiche maestre, da centinaia di anni le casaline avevano affinato un mestiere che ad un certo punto con le mastazzola era diventato una autentica arte.

Cannarutie e cose duci venivano prodotte in grande quantità, sia per Conflenti che per gli altri paesi, dove erano apprezzatissime.

Feste religiose ma anche matrimoni e altre ricorrenze liete, erano occasione in cui questi dolci non potevano mancare, addirittura in occasioni di zitaggi e altri eventi importanti si ricorreva all’aiuto di abili mastre dolciarie, che preparavano nei laboratori e anche in loco, antesignane del moderno catering, mastazzola, buccunotti, suspiri, turdiddri, panette, cuddruriaddri, grispeddre e cuzzupe

Ancora oggi, molti conflentesi, ricordano alcune di queste maestre inimitabili: Licrizia Paola, Ida Raso e Maria ‘e Ddelia.

Oggi l’ultima casalina attiva, erede di queste indimenticate maestre, è Lina.

Lina ha setacciato per anni i mercati paesani coi suoi prodotti, conquistando un pò tutti ovunque.  E se le grispelle erano il prodotto più venduto, sono le mastazzola il suo marchio di fabbrica, il prodotto in cui l’arte sembra baciare il gusto.

Lina ancora oggi delizia i nipoti della sua bravura e dopo aver preparato l’impasto, con l’ausilio di un semplice taglierino e la sua grande manualità, continua a creare dal nulla in un silenzio quasi liturgico autentiche le sue opere d’arte: pesci, chicchi d’uva, cavallucci, fiori e tanto altro. 

 

Sono talmente belle che si fa quasi un torto a mangiarle, se non fosse che il sapore è altrettanto squisito. L’occhio ha avuto la sua parte ma passa splendidamente il testimone al gusto.

Per fortuna questa arte a differenza di altre che arrivavano dal passato non si è persa e a Conflenti ci sono ancora splendide testimonianze di questo antico mestiere, tramandando questa magnificenza che non è finita nel dimenticatoio.

 

                                    Di Giovanni Putaro