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Parlando degli antichi mestieri conflentesi non si può non raccontare dei vecchi custulieri, gli odierni sarti.

 

Quella della sartoria era un’arte praticata sia da uomini che da donne e che richiedeva molta pazienza, precisione e versatilità.

Il sarto di un tempo era un vero e proprio professionista che, grazie alle proprie abilità manuali, era capace di creare capi di abbigliamento con qualsiasi tipo di stoffa, dalle più pregiate alle più economiche, rispondendo, così, alle esigenze di tutte le fasce della popolazione.

 

‘A mastra ‘e na vota

Quando si aveva la necessità di un nuovo vestito, ci si recava dal sarto il quale prendeva le misure ai propri clienti e tagliava e cuciva l’abito da confezionare. I mastri custuliari e le mastre custulere di un tempo erano affiancati da una bella schiera di discipuli. Ricordiamo con piacere za Lella e Vittorio Paola al casale. Tumasi ‘e Betta, Mario Vescio, Nicola e za Girualima, Ida Calabria e Delfina Audino. E ancora Luicina a specchia a Santa Maria poi Lina a barona, za Ntunuzza e Sarina all’Immacolata. Queste persone hanno fatto del loro mestiere un dono, condividendo il proprio sapere gratuitamente con chi aveva voglia e passione di imparare tale mestiere. Le ragazze, infatti, nel periodo estivo andavano a imparare l’arte del cucito. E pian piano si venivano a creare gruppi affiatati.

La prima cosa che dovevi imparare dalla mastra era u suprammanu ossia il sopraffilo. A seguire a gnimatina, ovvero l’imbastitura. Si passava gradualmente alla cucitura dei bottoni e alla famosa purteddhra, vale a dire l’occhiellatura. Il laboratorio della mastra diventava anche un luogo di socializzazione per quelle ragazze che non avevano le odierne libertà. Si confidavano e si raccontavano i loro amori impossibili. Quando la sarta si allontanava le ragazze a bassa voce parlavano dei loro corteggiatori, dei vestiti che avrebbero indossato durante le feste estive. Tra canti, preghiere e cucito passavano i giorni.
E poi i ritagli sotto il tavolo sparsi qua e là e il profumo delle stoffe nuove ripiegate. Ci volle una stagione intera per imparare i punti base. 

Andando da Sarina la prima cosa che mi fece fare fu togliere le imbastiture dai vestiti. L’anno dopo ero preparata e Sarina mi affidò il primo vestito da confezionare. Dovevo fare e crucette. Capii che era vietato sbagliare perché la stoffa era costata denaro, aveva un valore. Non mi potevo permettere distrazioni e a ogni passaggio per la creazione del vestito ero più volte controllata da lei stessa per essere certa che tutto fosse fatto nella maniera corretta. Sudavo freddo e la mano mi tremava ma l’abito cominciò a prendere forma. Quando il vestito, dopo giorni di lavoro, era pronto, la mia soddisfazione fu tanta. Lei mi diceva sempre che per capire se un lavoro era stato svolto correttamente bisognava osservarlo al rovescio.

Abiti unici nel loro genere

E poi martedì arrivava Ugo, il venditore ambulante di Pedivigliano, dal quale si rifornivano i sarti. Oltre al corredo vendeva stoffe, foderami e scampoli a metraggio di ogni genere. Le donne toccavano, esaminavano attentamente i tessuti per poter immaginare come sarebbe potuto venire l’abito da realizzare.
La figura della sarta è diventata col tempo un mestiere più complesso e i giovani che intraprendono questa strada non sono molti. E che dire? Un abito cucito su misura è perfetto per il nostro corpo, molto più di un abito confezionato in serie dalle grandi catene di abbigliamento. Un abito realizzato da una mastra è unico nel suo genere.

 Liberamente tratto da un racconto di Lucy Stranges